Macbeth di Serena Singaglia – recensione da 2 cent

La seconda produzione del Teatro Stabile di Bolzano stagione 18/19 è il Macbeth di William Shakespeare. Nel titolo ho però, non causalmente, usato il nome della regista Serena Sinigaglia. Questo è un Macbeth molto “interpretato” pur mantenendo la fedeltà al testo del Bardo.

Shakespeare was born in Stradford on Avon in 1564…

Così iniziava il mio riassunto su Shakespeare ai tempi del liceo linguistico. Ed è proprio quella data che fa riflettere. Sono passati oltre 400 anni eppure quel testo è così moderno, così attuale.

La prima cosa che ti colpisce di questo Macbeth è la buca di sabbia. La seconda i costumi. Questo Macbeth “gioca sporco” con il pubblico e lo fa utilizzando diversi mezzi.

Iniziamo con i costumi che ti spiazzano, un po’ come quando senti parlare un non caucasico con qualche accento locale italiano. Mentre il testo ti porta nel basso medioevo, la vista ti dice che sei circa ai tempi della seconda guerra mondiale.

Poi c’è la luce. Una luce che alterna toni caldi e freddi. Una luce che riesce a trasformare la scena in bianco e nero, al punto che quando appare qualcosa di colorato capisci che non stai guardando un vecchio film di guerra.

Gli odori e qui non so se sia voluto o meno ma il puzzo della carta bruciata, dei cerini, delle candele spente e della sigaretta contribuiscono a fare alla rappresentazione una sorta di esperienza multisensoriale. Odori sgradevoli per situazioni e emozioni fastidiose.

Ma l’apice viene raggiunto con la sabbia. Sabbia che per antonomasia è simbolo di fastidio. Tutta la scena è “sporca” di sabbia, lo sono gli attori, gli oggetti, l’aria stessa. Come se quella sabbia fosse la rappresentazione stessa del male. Non a caso in mezzo alla scena vi è una grande buca di sabbia in cui si svolge la scena a volte principale a volte secondaria. Ma la buca è sempre lì, sempre in vista. Quando viene coperta è ancora più in primo piano. Forse è la culla del male stesso, non a caso Macbeth muore proprio lì dentro ricoperto, non a caso, fino alla testa decapitata.

Questo male che non è altro che la brama di potere. Aspetto che però passa in secondo piano rispetto a quello che forse è il protagonista vero di questo Macbeth: il rimorso.

Un rimorso rappresentato in maniera più forte del male stesso. Volendo dare un significato “buono” al rimorso è come il bianco che si contrappone al nero della scena. La sabbia, il male, è comunque bianca. Lo Yin e lo Yang che portano alla conclusione equilibrata di una tragedia cruenta e violenta.

Sì mi è piaciuto e anche molto. Non deve essere facile pensare ad un Macbeth in chiave moderna senza rischiare di fare “sussultare nella tomba” il “caro vecchio” William.

Le oltre due ore volano grazie anche alla bravura degli attori e al ritmo serrato della sceneggiatura. Fausto Russo Alessi dà a questo Macbeth una personalità combattuta, succube di una Lady Macbeth che poi tanto forte non è. Come scrivevo prima qui il rimorso è più forte del male.

Curiosamente l’attore ha una, neanche tanto vaga, somiglianza con un “certo personaggio politico” piuttosto in voga in questo periodo storico ma credo che si tratti di una mera coincidenza senza andare a scomodare messaggi subliminali politici che non mi sembrano esserci. Questo per dire che la collocazione temporale di questo Macbeth non è importante. Medioevo, guerra mondiale o tempi nostri non importa. Qui sono gli atteggiamenti umani a farla da padroni e certe cose non cambiano mai. La brama di potere ha messo, mette e metterà sempre l’uomo a dura prova.

Menzione speciale per le luci, di cui ho già parlato e per le scene. Ci sono momenti in cui si viene trasportati su più livelli di azione grazie a quel semplice piano inclinato che compone la scena e a quel grande tavolo che crea un secondo palco inquandrando la buca di sabbia in una sorta di picture in picture.

Grande teatro per quanto possa valere la mia opinione e sulla base di un puro giudizio soggettivo.

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