Dulan la sposa di Valerio Binasco

In scena al Teatro stabile di Bolzano per la stagione 22/23.

Molto della storia è raccontato nei primi 5 minuti di spettacolo.
“Viviamo in mezzo a dei fantasmi” è la frase che racchiude tutto la tragedia legata alla storia una ragazza indiana senza nome che non ha nulla da perdere (così da essere invincibile, afferma lei).
Si capisce subito chi la ha uccisa e il perché ma l’aspetto noir, pur riservando una sorpresa finale, è poco importante in questa storia che è tratta da un radiodramma della scrittrice Valeria Mazzucco.
C’è lo sterotipo dell’imprenditore di mezza età imbruttito (per non dire schifoso e viscido), quello della ragazza che cerca di emanciparsi dalla propria misera realtà e da un non-futuro seguendo il miraggio del benessere occidentale usando l’unica cosa che può offrire e c’è la moglie che forse è l’unico personaggio che non si riesce a inquadrare e che non forse è stato dipinto così bene come gli altri due.
Durante tutto lo spettacolo è una lotta continua per capire da che parte stare. Quale è la vera vittima? A pelle si potrebbe dire la ragazza indiana, l’anello ovviamente più debole, ma non sempre traspare questa volontà. L’uomo è ritratto sulla base delle sue debolezze che la ragazza sa cogliere molto bene. Il sesso è come il cibo per un animale predatore affamato, quasi un istinto non controllabile che a tratti l’uomo cerca di allontanare da sé. Le allusioni sessuali sono tutto tranne che tali. Il sesso perde la sua intimità e diventa pura merce. Se c’è poca allusione nelle scene erotiche la nudità viene invece mimata quasi a rafforzare la brutalità delle scene corporee (personalmente sconsiglio ad un pubblico non adulto).
In molti momenti il fastidio prevale sul fatto di trovarsi a teatro. Vuoi per i fatti di cronaca, vuoi perché certe storie sono narrate anche in molti film o telefilm, vedere dal vivo la brutalità di certi comportamenti risulta davvero intollerante. Se l’obiettivo era turbare direi che il regista/attore Valerio Binasco c’è riuscito in pieno.
Ma mi piacerebbe ascoltare il radiodramma originale per capire meglio molti punti di questo spettacolo.
È uno scontro di civiltà, un ennesimo quadro di un mondo mal equilibrato che peggiora sempre di più, un ritratto della pochezza e un inno ad un amore malato e finto. Ma anche una storia di vendetta che però finisce male. Un femminicidio come i tanti che sentiamo ogni giorno e che vanno oltre la mia comprensione ma che non bisogna mai finire di condannare e soprattutto di abituarcisi.
Se forse l’autore voleva farmi schierare con chi stare la scelta è comunque scontata, togliere una vita non è mai giustificabile, può esserlo magari per una figura malata come la moglie ma è un segno di un male con cui si convive nella società attuale.
Sono uscito con un grande sconforto e con la certezza che quando si uccide la speranza muore anche l’uomo. Se non hai sogni e aspettative è pur vero che nessuno può distruggertele ma poi che vita è?
Non basta condannare la violenza sulle donne, bisogna agire sui comportamenti, sull’educazione, sulla mentalità e sull’equilibrio sennò staremo sempre qui a parlarci addosso e le donne continueranno a morire o essere trattate come oggetti.

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